Epifania

LA BEFANA:

NATALE E EPIFANIA
Il popolo ha sempre intrecciato gli avvenimenti religiosi maggiormente significativi con favole, leggende, superstizioni, anche di origine pagana, per soddisfare il bisogno di fantastico, il gusto del mistero che è proprio dell’uomo.
Il Natale e l’Epifania hanno in comune due elementi: le canzoni di questua (una richiesta di regali che i più giovani vanno a rivolgere di porta in porta) e le strenne che si preparano sotto il camino.
In molte regioni d’Italia, al Natale era collegata l’antichissima usanza del ceppo e l’offerta, appunto, delle strenne, che consistevano, il più delle volte, in generi commestibili. I doni avevano significato religioso; il fuoco stesso, come i cibi particolari che si mangiano in queste occasioni (miele, frutta secca, pesce…), ha valore propiziatorio o purificatorio. Parte dei carboni o di ciò che rimane del ceppo si conservava come cosa sacra, parte si sotterrava in campagna per preservare i prodotti del suolo dalle intemperie.
In Toscana, ad esempio, si percuoteva un tronco con pesanti mazze di ferro e poi si facevano ricadere, misti a scintille, confetti e dolci, perché si compiesse una specie di magia agli occhi dei bambini, quasi i doni arrivassero direttamente dal cielo… In Puglia e in Abruzzo, invece, accanto al ceppo grande, se ne ponevano dodici piccoli a simboleggiare gli Apostoli, mentre in altre località il tronco veniva riempito di giocattoli e di monete destinate al bambino più piccolo della famiglia, dopo che avesse recitato una filastrocca o una poesia.
In Sardegna, le launeddas, strumenti a fiato di origine antichissima, accompagnano il lamento dei pastori che rivivono il dramma di Maria e ricordano la sua povertà desolata:

Alloggiatemi, sono morta di freddo e sfinita;
vi lascio tutto ciò che ho in pegno:
un cancello fatto di rovo spinoso.

E in Calabria si porta in dono al Bambino Gesù il petrale o il cuccidatu, dolci fatti di miele e di frutta secca, accompagnando l’offerta con una bella canzone pastorale.

DA “EPIFANIA” A “BEFANA”
Nel IV secolo d. C. avvenne l’effettiva separazione delle due festività; veniva scissa, cioè, la manifestazione di Cristo agli uomini (Natale) dalla manifestazione della Divinità ai Re Magi (Epifania).
Epifania, Befanìa, Befana: la versione popolare del vocabolo suggerì un’immagine femminile grottesca, una specie di megera vecchia e brutta, che ricordava i personaggi simbolici legati alla celebrazione, orientale e pagana, della nascita del dio Sole, poco dopo il solstizio d’inverno; nell’ambito cristiano, questa figura assunse una veste poetica: la Befana divenne personificazione della felicità che gli uomini aspettano sempre.

CELEBRAZIONE DELL’EPIFANIA
Fin dai primi secoli, l’avvenimento della venuta dei Magi dall’Oriente offerse spunti per una drammatizzazione. Molti canti popolari e sacre rappresentazioni ebbero infatti come tema la festa dell’Epifania. Il brano evangelico si arricchì per gradi, fino a trasformarsi in una vera e propria processione con personaggi, che viene descritta dai cronisti del tempo. All’inizio si svolgeva all’interno delle chiese, dove gli interpreti erano i sacerdoti stessi e il pubblico era formato dai fedeli. Testimonianze scritte del XIII e XIV secolo permettono di ricostruire come l’introduzione graduale di elementi buffoneschi abbia dato, a un certo punto, un indirizzo più comico e folkloristico che religioso alla celebrazione, che fu ritenuta ormai inadatta ai luoghi sacri.

Prof. BIANCAMARIA MAZZOLENI
Giornalista – pubblicista, già docente di storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università “La Sapienza di Roma e l’Università “Roma Tre”
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